Nel 1930, l’economista John Maynard Keynes scrisse che, con l’evoluzione tecnologica, il problema economico – inteso come problema della scarsità dei mezzi e delle risorse – si sarebbe risolto nell’arco di cento anni: adesso siamo a novant’anni dalla sua previsione, per cui nel 2030 dovremmo averlo più o meno risolto.
Nel 2000, l’economista Emilio Fontela, nel suo libro Come divenire imprenditore nel ventunesimo secolo (Spirali), notava che, negli ultimi dieci anni del secolo che ci eravamo appena lasciati alle spalle, c’erano state due grandi evoluzioni che avrebbero avuto molte conseguenze sul futuro. La prima, la caduta del muro di Berlino, ha marcato la fine di una guerra ideologica, una guerra tra il liberalismo economico e il socialismo pianificatore, tra mercato e pianificazione, da cui il mercato è uscito vittorioso. La seconda riguarda l’avvento della società dell’informazione, ossia la coincidenza nel tempo tra computer, capacità di calcolo e capacità di memoria, da un lato, e telecomunicazioni e microelettronica, dall’altro.
Quali sono state le conseguenze di queste due evoluzioni? Prima di tutto, il fenomeno della globalizzazione: a partire dal trionfo dell’economia di mercato, il mercato diventa globale. Questo è osservabile in primo luogo nel campo della finanza, che è stato il primo a essere globalizzato.
Nel 1945, quando è stato fatto l’accordo di Bretton Woods, Keynes e altri economisti presenti hanno avuto un’enorme paura della speculazione finanziaria, cosicché i movimenti di capitale sono stati bloccati. Dopo l’accordo di Bretton Woods, il controllo divenne assoluto, non si potevano cambiare neppure gli spiccioli. Ma intorno agli anni settanta, quando Nixon sollevò il problema della convertibilità del dollaro, ci fu una serie di avvenimenti che provocò l’interesse dei paesi e dei sistemi finanziari all’apertura dei mercati. Così incominciò, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, una straordinaria corsa alla liberalizzazione di movimenti di capitale, che avrebbe portato alla situazione attuale, in cui non ci sono praticamente controlli e ciascuno può comprare un’azione su qualsiasi mercato. Come notava già Fontela, la globalizzazione dell’economia finanziaria fa sì che ci troviamo in una situazione in cui i risparmiatori del mondo intero s’incontrano con gli investitori del mondo intero. Questo ha cambiato totalmente l’impresa. Infatti, nell’impresa tradizionale, quella familiare, quella dinastica, in cui il risparmiatore e l’investitore sono la stessa persona, l’imprenditore guadagna dei soldi e li risparmia in modo da poter reinvestire. Poi è venuto il banchiere che conosceva risparmiatori da una parte e investitori dall’altra e li metteva in contatto. Quindi è arrivata la borsa, che ha trasformato parecchio l’intermediazione. Poi sono intervenuti gli intermediari finanziari e, infine, il mercato dei futures e delle options, che ha complicato ulteriormente il sistema.
La conseguenza di tutto ciò è che un’impresa, se vuole sviluppare nuovi investimenti e creare nuove imprese, deve convincere dell’interesse del suo progetto il mercato finanziario internazionale.
Per avere accesso diretto alla finanza globale, molte imprese hanno portato al loro interno specialisti finanziari, con il risultato che lo spirito di speculazione è penetrato nello spirito di molte imprese produttive. In ogni momento storico ci sono stati speculatori e produttori, e c’era bisogno di entrambe le categorie perché senza gli speculatori i produttori non possono funzionare efficacemente. Ma c’è sempre stato un equilibrio. Se invece, per una ragione qualunque, lo spirito di speculazione dovesse penetrare troppo nello spirito d’impresa il problema si complicherebbe.
Dunque, qual è la soluzione per un’area dove non ci sono imprese molto grandi, ma piccole e medie, in un distretto industriale con molti imprenditori dell’economia reale? Far sì che diventino finanziarie? Secondo l’Autore l’ideale è rinforzare moltissimo il sistema degli intermediari finanziari locali, bisogna ritornare ai mercati finanziari locali connessi con il sistema mondiale, ma professionalizzati.
E l’imprenditore è il punto chiave di questo nuovo sistema? Come scrive Fontela, “nel ventunesimo secolo tutto sembra indicare che l’imprenditore debba acquisire nuove dimensioni culturali e spirituali. Può e dev’essere il prototipo della nuova società, il nuovo homo oeconomicus. Ci si aspetta da lui la capacità creativa, l’innovazione; ci si aspetta che sappia integrare nell’impresa i più forti imprenditori di se stessi e, allo stesso tempo, i lavoratori tradizionali più deboli, operai e impiegati.
L’imprenditore non vive più isolato. Ha responsabilità sociali che, spesso, superano l’ambito della sua impresa. Il contesto in cui opera esige un’eccellenza che travalica le tradizionali doti di comando”.
Anche se è stato pubblicato nel 2000, qualche anno prima della prematura scomparsa dell’Autore, questo libro accompagna l’imprenditore in un viaggio di esplorazione del futuro a partire dalle tendenze in atto. È un libro di meditazione prospettica, in cui si possono individuare i cambiamenti fondamentali dell’impresa, del suo contesto, del suo ruolo nella società dell’informazione, della sua relazione con le finanze globalizzate, ovvero della sua funzione nel divenire dell’Europa.
È un excursus che si situa nel contesto di questa nuova impresa e cerca di evidenziare le nuove responsabilità dell’imprenditore, nonché le nuove opportunità esistenti per un progetto ambizioso relativo al ruolo dell’impresa nella società oggi.
Elisa Melzani
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