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A quali settori appartengono principalmente le industrie che richiedono i servizi di testing nei laboratori della vostra Associazione (VUP e.V)?
Non esiste un ambito della vita né un settore industriale che possa fare a meno dei servizi offerti dai laboratori di prova: dal cibo al suolo, dall’aria e dall’acqua ai giocattoli, fino ai prodotti medici e farmaceutici. In ciascuna di queste aree, i laboratori aiutano i loro clienti a ottenere qualità, protezione e standard di sicurezza richiesti dalle normative o volontari. Tuttavia, possiamo suddividere il mercato dei laboratori in cinque macro-aree: analisi ambientali, sicurezza del consumatore e test sugli alimenti, analisi sanitarie e farmaceutiche, taratura e metrologia, analisi dei materiali.
Cos’è cambiato in questi settori con l’introduzione delle tecnologie digitali e come questi cambiamenti hanno influenzato i servizi che offrite ai vostri clienti?
La rivoluzione digitale sta cambiando il nostro modo di vivere e di lavorare, di consumare e di comunicare. A cambiare è anche l’approccio verso la qualità e la sicurezza dei prodotti e dei processi; basti pensare al grande problema della sicurezza dei dati. Come fornitori di servizi per la qualità, la protezione e la sicurezza, i laboratori di testing devono mettersi in gioco e affrontare queste nuove sfide, domande e opportunità prodotte dalla rivoluzione digitale. Per questo le società di testing stanno adoperandosi per allestire portali che gestiscono gli ordini dei loro clienti in collegamento diretto con il proprio personale, in modo da ottenere più velocità ed efficienza. In alcuni casi si affidano anche all’intelligenza artificiale per offrire servizi nuovi e migliori. Le tecnologie digitali aiutano anche a sollevare i dipendenti da compiti ripetitivi e a rendere l’ambiente lavorativo più vivace e flessibile. Questo è importante anche per attrarre giovani talenti, cosa molto difficile in questo periodo.
Quanti talenti dall’estero attraggono le industrie del vostro paese? E da quali paesi provengono in particolare?
L’industria tedesca dell’automotive, le industrie chimiche e meccaniche hanno sempre attratto e sono sempre state appetibili per i lavoratori provenienti da altri paesi. Da questo stesso nucleo industriale arrivano forti spinte e richieste in direzione della digitalizzazione. I settori delle tecnologie informatiche e digitali stanno crescendo molto in Germania, in particolare nelle grandi città come Berlino e Monaco. Anche se Berlino non è paragonabile alla Silicon Valley per dinamismo e attrattività, posso assicurare che, in particolare per i giovani del Sud ed Est Europa, è più di una meta turistica o di divertimento, è un luogo in cui inventare o cimentarsi in mestieri nuovi, affascinanti e soprattutto digitali.
La globalizzazione, soprattutto a partire dagli anni Novanta, ha comportato la delocalizzazione della produzione dove il costo del lavoro era inferiore. La regionalizzazione delle filiere, invece, ha interessato i paesi europei, nei casi in cui, per esempio, un’automobile venduta da una casa tedesca agli Stati Uniti molto spesso utilizza componenti fabbricati in Italia. Com’è considerato il made in Italy nel suo paese?
In Germania, quando si parla di “made in Italy”, tutti vi associano immediatamente i più alti standard e la massima qualità della moda o del cibo italiani. Ma l’Italia è anche conosciuta e riconosciuta per il design e l’ingegneria di precisione nell’industria e nella progettazione meccanica. Vorrei però precisare una cosa: le società di testing, i laboratori come i nostri garantiscono ai produttori una qualità che può essere data ai clienti di tutto il mondo e la qualità promessa è assicurata. Ecco perché lo slogan della nostra associazione di laboratori tedeschi è: “Il nostro risultato è il vostro successo”.
In seguito alla pandemia prima e alla guerra in Ucraina ora, nota una tendenza al reshoring da parte delle industrie del suo paese? In quali settori in particolare?
Sì, c’è una politica di ripensamento da parte dei consumatori e naturalmente dell’industria. Quanto siamo vulnerabili e dipendenti dagli effetti della globalizzazione? Certamente, il primo pensiero va alle aree critiche (infrastrutturali) come quella della salute, dell’energia e dell’alimentazione. Durante e a causa della pandemia da Coronavirus, per esempio, abbiamo pensato a riportare subito in Germania la produzione di mascherine e, nel settore farmaceutico, ci lamentiamo di avere delocalizzato la produzione in India perché le medicine fanno fatica ad arrivare. E ora manca l’olio di girasole proveniente dall’Ucraina. Questo vuol dire che la Germania, in quanto “campione mondiale della globalizzazione”, deve stare molto più in allerta. Comunque, nessuno può predire le risposte a queste domande scomode. Secondo me, la soluzione sta nell’Europa, e la risposta: “Più Europa”.