Autore di due libri – Meteore e Codice di autodeterminazione –, dopo la laurea in Economia e Diritto Internazionale all’Università di Modena e Reggio Emilia, lei ha conseguito un master in Sales & Marketing alla Business School dell’Università di Bologna e uno in Design Thinking al MIT di Boston; è stato citato da “Capital” tra i Top 150 manager d’Italia under 44 e da “Forbes” nella classifica dei Top 100 CMO d’Italia e, nel 2021, è stato inserito come membro del Certificate Holders del Mit di Boston, una rete globale di manager che hanno conseguito un Executive Certificate dal MIT. Un itinerario eccellente, il suo, che non è stato condizionato dall’idea di origine, un esempio che dovrebbe far riflettere molti giovani: essere nati in una famiglia di operai non comporta un’esclusione dalle opportunità di lavoro e di riuscita. Com’è iniziato il suo percorso lavorativo?
Ho incominciato a lavorare a diciotto anni, prima come bracciante agricolo in una latteria, poi come operaio generico nel reparto smerigliatura in un’azienda metalmeccanica e la sera come cameriere in un ristorante. Non potendo lasciare il lavoro per questioni economiche, ho deciso di riprendere le scuole, lavorando di giorno e studiando di notte. Nel frattempo, sono stato promosso come assistente all’ufficio tecnico e ho ottenuto un diploma di maturità alle serali. Con innumerevoli sforzi e grazie al sostegno e al supporto di mia moglie, Silvia Bressan, ho conseguito prima la laurea triennale in Marketing e poi la magistrale in Economia e Diritto Internazionale.
La cultura, lo studio e la determinazione sono gli strumenti più importanti per non rimanere ancorati alle proprie “origini”; soltanto con la cultura ciascuno è in grado d’intendere la realtà in cui vive, anziché nutrirsi di luoghi comuni e pregiudizi, che sono sempre in agguato.
Non a caso, nella home page del suo sito, lei riporta questa citazione: “Il vero innovatore è come un artista: è in grado di vedere l’opera d’arte imprigionata nel marmo dei nostri pregiudizi”…
È proprio così, si dice che: “Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente. Sii gentile. Sempre”. A questo proposito, le racconto un episodio che mi è capitato la scorsa estate. Un giorno, mentre ero in spiaggia, mi si avvicinò un ambulante di colore che voleva vendermi dei libri. Io declinai, ma lui subito dopo mi chiese: “Vuoi compare un mio libro?”. “Come un suo libro?”, pensai, e incominciai a conversare con lui. Alla fine, scoprii che aveva più o meno la mia età, parlava quattro lingue e aveva scritto un libro sulla sua traversata a bordo di un gommone insieme ad altre persone. Allora pensai ai pregiudizi che possono circondare un uomo: il contesto e i pregiudizi possono eclissare la sua storia, ma se l’interlocutore compie uno sforzo, se mette all’opera la curiosità che consente di instaurare una conversazione costruttiva e vera, si rendi conto della ricchezza del patrimonio intellettuale di quell’uomo.
La stessa cosa può accadere nel lavoro, quando parliamo con i colleghi senza compiere lo sforzo di indagare qualcosa di più dei meri aspetti professionali. Purtroppo, i pregiudizi formano un muro che noi stessi innalziamo.
Diciamo che spesso siamo affezionati alle nostre idee…
Esatto, ma le idee in sé sono libere e la cosa bella delle idee è il confronto. Diversi anni fa un collega mi raccontò un famoso aneddoto: “Ci sono due persone, di cui una possiede un dollaro. Se questa persona decidesse di cedere il suo dollaro, rimarrebbe senza nulla, mentre l’altra avrebbe un dollaro. Invece, se tra due persone una avesse un’idea e decidesse di condividerla, entrambe le persone avrebbero un’idea da cui potrebbero scaturire altre idee”. Questo per dire come la condivisione delle idee e il processo di “contaminazione” che ne consegue abbiano una forza incredibile. È ciò che esprime il termine anglosassone serendipity, che viene usato molto nell’ambito dell’innovazione, secondo cui le idee e le innovazioni intervengono facendo le cose, non cercando di tirarle fuori da uffici o laboratori.
L’innovazione è il suo pane quotidiano, tant’è che ha ottenuto il certificato del RINA come Innovation Manager. In che modo questo talento si esercita nel suo lavoro alla G. Mondini Spa, azienda leader nella costruzione di macchine per il packaging di prodotti alimentari?
In G. Mondini mi occupo di direzione strategica e sviluppo commerciale. In accordo con la direzione, abbiamo definito un piano strategico di medio-lungo periodo: una “visione” di quasi un decennio. Poiché un business plan di un decennio sarebbe stato un azzardo, abbiamo deciso di dividere in trimestri il piano strategico e di conseguenza di procedere con la redazione di un business plan su base biennale, indicando per ciascun anno obiettivi quantitativi e qualitativi. Un altro fronte di intervento riguarda la ristrutturazione dei processi per rendere più agevole il piano di sviluppo. Gli attuali processi potrebbero rallentare la crescita dell’azienda, ingessandone o rallentandone lo sviluppo. Ecco perché ci siamo proposti di rendere l’azienda molto più produttiva tramite l’implementazione di infrastrutture tecnologiche. L’obiettivo è aumentare il valore aggiunto per unità (ora) lavorata, automatizzando le attività a basso valore aggiunto e sfruttando le ore lavorate per attività ad alto valore aggiunto.
È sicuramente qualcosa che aiuta i collaboratori a capire la direzione dell’impresa. La bussola è nel programma stesso, che indica la strada, il ritmo e la meta. Ciascuno trova la strada, però è importante che sia enunciata la meta…
A questo proposito, ricordo che, quando abbiamo redatto il programma di medio-lungo termine, abbiamo deciso di coinvolgere la struttura aziendale. È importante che l’organizzazione conosca il piano strategico e la direzione intrapresa, la strategia non è una prerogativa esclusiva dell’imprenditore o dei manager. L’imprenditore enuncia uno scenario e indica la direzione, ma la meta si raggiunge con minori complicazioni solo se tutti guardano nella stessa direzione, se tutti sanno dov’è il nord, per mantenere la metafora della bussola. E questa è una cosa importante, altrimenti c’è il rischio di incontrare resistenze al cambiamento che impediscono alla struttura di crescere.
La G. Mondini Spa ha clienti globali. Quali sono i mercati in cui lei ha notato una crescita esponenziale negli ultimi anni?
Piuttosto che dire cosa abbiamo notato negli altri paesi, vorrei dire che cosa abbiamo imparato dagli altri paesi. La G. Mondini è un’azienda riconosciuta a livello internazionale per i suoi valori di qualità, onestà, rispetto e integrità morale e professionale. Valori che riflettono fedelmente i principi fondanti dell’impresa. Il periodo storico che stiamo vivendo ci vedrà coinvolti in importanti cambiamenti tecnologici, culturali e sociali, ma con umiltà, indulgenza e spirito di squadra possiamo apprendere qualcosa ogni giorno dagli elementi che ci circondano.